“Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che suona la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all’insieme. Siccome il piacere dell’armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica. Forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica.
Il problema è che vogliono farci credere che nel mondo contino solo i primi violini. E alcuni colleghi si credono dei Karajan che non sopportano di dover dirigere la banda del paese. Sognano tutti la Filarmonica di Berlino, è comprensibile…”
(tratto da “Diario di scuola” di Daniel Pennac)
DIFFERENZA TRA I DISTURBI DI APPRENDIMENTO E I DISTURBI EMOTIVI
I comportamenti e i disturbi che portano al fallimento nella scuola sono molto diversi. Variano dai Disturbi Specifici dell’Apprendimento – Dislessia, Discalculia, Disgrafia, Disortografia – ai meno noti Disturbi Emotivi. Quest’ultimi causati da emozioni che destabilizzano i bambini nella fase di apprendimento, ponendo le basi per creare un’indisponibilità interiore a mantenere vivo il desiderio di conoscenza e il piacere di imparare.
A livello sociale i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) sono molto conosciuti e sono divenuti parte integrante del nostro vocabolario quotidiano. I Disturbi Emotivi, invece, non sono molto conosciuti e possono essere pertanto confusi con essi. O essere imputati ad una mancanza di volontà o di svolgliatezza da parte del bambino stesso.
Assume, quindi, un’importanza cruciale far luce a tutti coloro che interagiscono con i bambini e che ruotano nella sua vita sul concetto di benessere emotivo e di disturbo emotivo. Affinchè sia possibile ridurre al minimo il rischio di confondere le idee agli insegnanti che possono supporre un problema cognitivo, laddove invece alberga un difficoltà emotiva. Ampliando, così, la visione e la possibilità di intervento precoce diretto al problema.
COSA SONO I DISTURBI EMOTIVI?
I bambini con un Disturbo Emotivo sono pre-occupati da altre cose, con la testa distratta da altri pensieri. Talvolta anche inquietanti tanto da non lasciare spazio ad altri obiettivi. Oppure il contenuto dell’apprendimento può a volte risvegliare emozioni difficili da vivere.
Questi bambini hanno spesso una costante inquietudine, spessa scambiata per iperattività, aggressività fisica e verbale o, all’inverso, apatia. I disturbi emotivi e comportamentali dell’età evolutiva possono essere differenziati in due ampie categorie: quelli esteriorizzati e i disturbi interiorizzati.
DISTURBI ESTERIORIZZATI E DISTURBI INTERIORIZZATI
- I primi, come il termine può far supporre si tratta di disturbi nei quali il disagio del bambino si manifesta soprattutto verso l’esterno. Essi si caratterizzano come tendenza ad esigere che i propri bisogni personali vengano immediatamente soddisfatti. E che abbiano la precedenza sui bisogni degli altri. E’ frequente, quindi, il ricorso all’aggressività per conseguire i propri scopi, oppositività, tendenza alla trasgressione di norme sociali e a volte anche legali. Tipico disturbo esteriorizzato è il disturbo della condotta.
- L’altra categoria è costituita dai disturbi interiorizzati, caratterizzati da una sofferenza che viene vissuta interiormente. Spesso essi tendono a passare inosservati ad un’osservazione superficiale. L’ansia e la depressione, ad esempio, vengono raramente segnalati ad uno psicologo e/o ai servizi specialistici dagli insegnanti. Ciò accade poichè si tratta di soggetti che di solito non disturbano e non creano problemi nella classe. Sono bambini che tendono a isolarsi, a chiudersi in se stessi, e che rimangono passivi e sottomessi nei confronti degli altri. In realtà risulta essenziale segnalare anche questo tipo di disagio, in quanto l’intervento precoce risulta essere direttamente proporzionale alla remissione dei sintomi e al benessere generale del bambino stesso.
COSA SI PUO’ FARE?
In entrambi i casi, risulta davvero essenziale chiedere il parere di uno specialista (psicologo, psicoterapeuta, neuropsichiatra infantile) anche per evitare confusioni. Non facciamoci prendere dal panico ogni volta che una persona non preparata a riguardo ci suggerisce che il bambino è iperattivo o affetto da autismo o dislessico. Purtroppo si assiste ogni giorno alla assegnazioni di queste etichette ai bambini: è di moda, ed è altrettanto molto rischioso e pericoloso.
Spesso è sufficiente un buon lavoro con i genitori, con la scuola e con il bambino per sbloccare il problema emotivo. Ovviamente più a lungo si trascina il problema, più sarà difficile intervenire nella sua soluzione. Infatti, nel caso in cui non vi fosse l’intervento di un specialista, il disagio percepito e vissuto dal bambino si potrebbe aggravare, rischiando di sfociare in taluni casi in patologie più complesse. Ad esempio, una tristezza accentuata e protratta nel tempo può condurre alla depressione; la paura può degenerare in ansia, attacco di panico o fobia. La rabbia in comportamenti violenti o antisociali, come il bullismo, o addirittura, se diretta contro se stessi, in autolesionismo o nei casi più estremi, in suicidio.
PERCHE’ LE EMOZIONI INFLUISCONO SULL’APPRENDIMENTO?
Le emozioni e le risposte ad ognuna di esse, sebbene abbiano una base innata, sono profondamente influenzate dall’ambiente socio-culturale e famigliare in cui è inserito il bambino. Di conseguenza, le emozioni più frequentemente provate possono divenire modalità di risposta abituali. Una emozione può, dunque, diventare il canale privilegiato di espressione emotiva, nel quale tendono a convogliarsi le altre emozioni.
Determinate emozioni negative, se presenti con elevata frequenza ed intensità, possono, inoltre, creare un clima di classe piuttosto negativo. Questo logora gli insegnanti e rende difficile il processo di apprendimento dei bambini che lo subiscono passivamente.
COSA BISOGNA FARE?
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Occorre giungere ad un’analisi del significato interpersonale di questi comportamenti. Le difficoltà psicologiche sono viste come precisi atti di comunicazione, “messaggi” non sempre facili da interpretare.
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Bisogna poi rivolgersi ad un professionista che sia in grado di costruire con il bambino il significato intrinsecamente e profondamente soggettivo che il sintomo ha per lui. Attraverso un percorso terapeutico che veda coinvolti anche i genitori.
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E’ importante disporre di un atteggiamento empatico nei confronti del bambino, non giudicante (“è colpa di questo o quello“) o fatalista (“è fatto così, cosa ci vuoi fare?!), ma curioso, interessato e comprensivo cosicchè risulti possibile instaurare con lui un legame di fiducia.
Se, dunque, il problema è concettualizzato in questo modo, lo dovrà essere anche il suo trattamento. Esso perciò non può limitarsi al tentativo di ridurre o eliminare il comportamento in questione. Deve puntare a identificarne la funzione che questo problema ha in tutto l’organizzazione complessiva del bambino. E mirare a sviluppare forme alternative e più efficaci di relazione.





